Le cronache locali la definiscono «una città all'amianto». Biancavilla, cittadina con oltre 20.000 abitanti in provincia di Catania, è a rischio fluoro-edenite, una fibra velenosa simile all'amianto, estratta dalla cava di Monte Calvario e usata per più di quarant'anni per costruire case, strade e scuole. Nel 2012 il sindaco Pietro Manna invitò i cittadini a non fumare: non solo nei locali pubblici, ma soprattutto all'aperto, per le strade, dove si annida una quantità maggiore di polvere. Con lo stesso provvedimento, consigliò di innaffiare le pareti prima di forarle per appendere un quadro. Le prime attività di bonifica iniziarono già alla fine degli anni Novanta, ma resta ancora moltissimo da fare, sia in città che per la messa in sicurezza della cava.

Broni è il comune con il più alto tasso di mortalità per patologie absesto-correlate in Italia. Nonostante sia in corso un processo ai vertici della Fibronit che vede più di ottocento vittime, nulla è ancora stato fatto per bonificare il sito industriale abbandonato solo nel 1993: quando a Casale – che dista poco più di cento chilometri – si iniziò a dismettere la produzione, a Broni iniziarono ad arrivare anche le commesse di Eternit. Il costo stimato per rimuovere l'amianto, ora stipato in condizioni precarie, è di tredici milioni di euro.

La cava di amianto di Balangero è la più grande in Europa e una tra le prime al mondo. Ne scrisse anche Italo Calvino: nel 1954 la visitò come inviato del quotidiano l'Unità per descrivere una vertenza dei lavoratori della miniera contro la proprietà. Calvino scrisse poi un lungo reportage intitolato «La fabbrica nella montagna». La cava chiuse nel 1990: dopo una primo intervento di messa in sicurezza, concluso nel 2000, ora si continua con le operazioni di bonifica, che però procedono a rilento: l'appalto della «R.S.A. - Società per il risanamento e lo sviluppo ambientale dell’ex miniera di amianto di Balangero e Corio» scade nel 2015, ma per smantellare il blocco dei capannoni dove avveniva la lavorazione dell'amianto sono necessari almeno altri cinque anni di lavoro.

La discarica di Pitelli fu attivata nel 1979 come impianto di smaltimento dei rifiuti industriali, quando non c’era ancora una normativa in materia. Da quel momento diventò la «collina dei veleni» con attività illecite che continuano addirittura dopo il sequestro giudiziario del 1996. Le perizie rivelano che lì sono state smaltite diossine, benzene, scarti dell'industria farmaceutica, fusti di olio, ceneri e amianto. I lavori di bonifica sono iniziati un anno fa, e per la prima volta si cerca di capire cosa è nascosto: ci sono vaste aree in cui non si è mai potuto verificare nulla, come le vasche dell'impianto principale, che secondo alcuni ormai sono un corpo unico con la collina, impossibile da bonificare.

Dalla fine del 1800 fino agli anni '70, nella Cava di Emarese lavorò la Società Italiana Amianto: da anni ormai si parla del piano di bonifica, approvato nel 2011 per il sito principale di Chassan-Settarme: il ministero della Salute predispose un fondo di quattro milioni e ottocentomila euro. Dopo l'approvazione del progetto però nacque il problema del trasporto e dello smaltimento dell'amianto, giudicato più pericoloso che lasciare i detriti e i resti della lavorazione nel sito. Tra qualche mese la giunta regionale discuterà il progetto definitivo per la messa in sicurezza della cava.

L'amianto è solo uno degli inquinanti del Sin di Massa e Carrara, una delle zone più contaminate del Paese, tra impianti di industria farmaceutica, petrolchimico, siderurgico, area portuale, amianto e discariche. Nel 2013 sono state assegnate nuove competenze per il risanamento dell'area alla regione Toscana: ora il sito ha un diverso perimetro che dovrebbe servire a rendere più veloci e semplici le procedure. Resterà di competenza nazionale la bonifica delle aree dei quattro stabilimenti, cioè gli impianti Syndial, Bario e derivati della Solvay, l’ex Farmoplant e il Consorzio investimenti produttivi nell’ex stabilimento Ferroleghe.

Boscoreale, Boscotrecase, Castellamare di Stabia, Ercolano, Pompei, Portici, San Giorgio a Cremano, Terzigno, Torre Annunziata, Torre del Greco e Trecase: nella «Terra dei Fuochi» si trovano numerose discariche, siti di smaltimento illegale e combustione di rifiuti sia urbani che pericolosi. Raffaele Cantone, nuovo presidente dell'Autorità anti-corruzione nella pubblica amministrazione, ha recentemente dichiarato: «Ancora non conosciamo i livelli di inquinamento e le conseguenze che questo disastro ambientale ha provocato. Forse nel 2060 quei luoghi saranno una nuova Chernobyl, non vi crescerà più un filo d'erba».

Grottola Miglionico, Pisticci, Pomarico, Salandra e Ferrandina, dove ha sede lo stabilimento della ex Materit, che ha prodotto manufatti in cemento-amianto fino al 1987, a meno di cinquecento metri dal fiume Basento: i progetti di bonifica per l'area industriale della Val Basento presentati al Ministero dell'Ambiente dalla regione Basilicata sono stati in parte respinti per «carenza di contenuti e strutturazione progettuale». Anche se i fondi, circa 40 milioni di euro, sono già stati stanziati dal Cipe, la Regione non è ancora pronta a partire e ha richiesto una nuova proroga a dicembre del 2014 per presentare un nuovo piano.

Per mettere in sicurezza e bonificare il bacino di fosfogessi dell'ex Liquichimica servono sei milioni di euro, già stanziati dal Cipe con i fondi necessari alla bonifica dell'area industriale della Val Basento. Nonostante negli ultimi mesi sia stato rilevato un alto tassi di radioattività nella zona, ancora nulla è stato fatto. A preoccupare i tecnici dell'Arpab, l'Agenzia Regionale per la Protezione dell'Ambiente della Basilicata, due «famiglie radioattive», quella del torio e dell'uranio naturali: si tratta di elementi da sempre presenti nella fosforite, che tra il 1969 e il 1989 è stata lavorata nell'impianto dell'ex Liquichimica per la produzione di fertilizzanti.

Il polo petrolchimico siracusano, anche detto triangolo industriale siracusano, sorge in un'area compresa trai i comuni di Melilli, Priolo Garganico e Augusta: col tempo le fabbriche chiusero, lasciando gravi danni ambientali. Lo stabilimento siciliano di Eternit, fondato tra Priolo e Augusta, fondato nel 1955, chiuse nel 1986, senza mai entrare nel maxi processo della procura di Torino. Lo scorso anno la Regione ha stanziato un fondo di 18 milioni di euro per intervenire su siti pubblici e privati, procedendo a una mappatura delle zone contaminate e per finanziare la creazione di un centro per la trasformazione dell'amianto in sostanza inerte.

Gli stabilimenti della Fibronit di Bari, fondata nel 1935 e chiusa da più di vent'anni, sono una discarica a cielo aperto: già nel 2005 l'area - circa 100.000 metri quadrati – era stata destinata alla bonifica e alla trasformazione nel «Parco della Rinascita», ma la giustizia amministrativa nel 2011 bloccò il progetto. Le vittime al momento sono più di 700, e nel quartiere di Japigia, dove si trova la fabbrica in stato di abbandono, si continua a morire. A gennaio il Comune ha proposto un nuovo piano di messa in sicurezza, a cui - se verrà approvato dal Ministero - seguirà un nuovo bando per procedere al recupero e alla riqualificazione dell'area.